Editore Bompiani – 445 pagine
Questo era un libro che volevo leggere da tempo, ma sapete come vanno queste cose. Lo vedi che ne hai appena comprato un’altro e con ‘sta cosa dei libri spendi meno a drogarti. Ti dici “lo compro quando ho finito questo”, ma poi escono altri libri e, nel frattempo, ci hanno fatto un film in Germania e un remake in Italia sostituendo Hitler con Mussolini.
Già, non ve l’ho detto. Questo libro parla di Adolf Hitler che si sveglia nel 2011 in un fazzoletto di terra incolto tra i palazzi di Berlino. Puzza del fumo del suo bunker in fiamme, gli fa male la testa, ma non ricorda di essersi suicidato. Non sa perché è lì, sa solo una cosa: lui è il Fuhrer e la sua missione è il primato del popolo tedesco.
Inizia così il libro di Vermes e, nonostante descriva fedelmente la personalità di Hitler nel confronto con il nostro caotico presente, bisogna stare veramente attenti a non farselo diventare simpatico. Adolf Hitler è un uomo senza esitazioni, con una determinazione incrollabile e con l’indubbio talento di saper parlare al lato debole delle persone.
Tutti credono che sia un bravissimo imitatore ferratissimo in storia e pensano che il suo personaggio, da cui (ovviamente) non esce neanche per un secondo, sia un espediente per mettere in luce le contraddizioni del Paese rispetto alla suo passato. La realtà però è che Hitler è sempre Hitler e capisce istintivamente che la televisione e internet sono il modo migliore per arrivare alla gente.
Il romanzo è molto ben scritto e la personalità di Hitler è stata ricostruita appoggiandosi al Mein Kampf, ai Monologhi dal Quatier Generale del Fuhrer (trascritti da Heinrich Heim) e alle Conversazioni a tavola (riportate da Henry Picker). Il risultato è un dittatore che non si preoccupa minimamente del motivo per cui si è ritrovato nel futuro, perché, se la Provvidenza ha voluto questo, c’è senz’altro una ragione e lui di motivo ne conosce solo uno: il potere gli spetta di diritto.
Lo consiglio? E’ una piacevole lettura, ma la stimolante premessa di questo libro è anche il suo più grosso limite. Per Hitler potrà essere anche facilmente superabile il fatto di ritrovarsi 70 anni nel futuro, ma al lettore è dovuta una spiegazione o quantomeno una fine che chiuda coerentemente la storia. In questo romanzo sembra che l’autore a un certo punto si sia stufato di scrivere. Forse aveva in mente un sequel, non lo so.
“Lui è tornato” è stato (nonostante me) un fortunato caso editoriale, ma Timur… dopo che ti ho concesso la sospensione del dubbio, non puoi anche chiedermi che mi immagini un finale.
Dado