372 pagine – edito da Narratori Feltrinelli.
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Oggi vi porto in Cina, precisamente nella Cina di inizio ‘900. E’ la fine dell’impero millenario e l’inizio della difficile transizione verso la Repubblica. Un passaggio che chiede ai protagonisti di questo romanzo un enorme tributo di lacrime e sangue.
Dal nord al sud infatti la Cina è dilaniata da lotte intestine, percorsa da eserciti allo sbando e razziata da bande di briganti che approfittano del vuoto di potere.
Lin Xiangfu è ignaro di tutto quello che sta per succedere. E’ un giovane proprietario terriero, un padrone giusto, un eccellente artigiano del legno ed è anche mediamente acculturato. La sua condizione gli consentirebbe di garantire un futuro sereno alla sua discendenza, solo che non si decide a prendere moglie, nonostante gliene vengano offerte diverse.
Un giorno Qiang e quella che presenta come sua sorella Xiaomei, bussano alla sua porta, chiedendo rifugio per la notte. Ling Xiangfu concede ospitalità e anche molto di più. Prova innata simpatia per i due sedicenti fratelli, inoltre Xiaomei è anche molto bella. Così, quando Qiang gli chiede di ospitarla più a lungo, mentre va a sbrigare una faccenda nella Capitale, Lin Xiangfu non ha alcuna difficoltà ad accettare.
Qiang rimane via per molto più tempo di quanto avesse prospettato, ma Lin Xiangfu è un gentiluomo, non accampa alcuna pretesa e tratta Xiaomei come fosse la padrona di casa. L’amore tra i due sembra inevitabile, così come il matrimonio. Nulla nell’atteggiamento di Xiaomei fa presagire quello che sta per succedere.
La mattina dopo il giorno del matrimonio Xiaomei fugge con una consistente parte dei risparmi di Lin Xiangfu, che egli stesso gli aveva mostrato in forma di piccoli lingotti d’oro.
Lin Xiangfu si abbandona ad una composta disperazione, ma, proprio quando si è fatto una ragione dell’accaduto e si è rassegnato a cercare un’altra moglie, Xiaomei torna. Non ha con se i lingotti che ha rubato, ne dice dove sono finiti, ma in grembo porta la figlia di Lin Xiangfu.
Xiaomei è una ladra, una che ha abbandonato il tetto coniugale, il marito potrebbe punirla come meglio ritiene, ma sceglie ancora una volta di dare fiducia alla donna del sud, che in fondo sta per dagli quello che lui più desidera. Una discendenza.
Sbaglia. Poco più di un mese dopo aver partorito una bellissima bambina, Xiaomei scompare di nuovo. Questa volta non ha rubato nulla, se non la fiducia di Lin Xiangfu, che però non ha intenzione di rassegnarsi. Dispone perchè tutto funzioni anche senza di lui, poi con la bambina sul petto e un enorme fagotto sulla schiena, parte verso il sud. E’ pronto a bussare ad ogni porta della Cina pur di ritrovare Xiaomei, ottenere una spiegazione e restituire una madre a sua figlia.
Ci riuscirà? Tutto questo non è che l’inizio de “La città che non c’è”, un romanzo che non racconta solo questa vicenda, ma tante altre. Molti sono i personaggi che Lin Xiangfu incontra durante la sua ricerca, che in breve si trasformerà nella sua nuova vita.
Ogni tanto mi piace spezzare le mie letture con qualcosa d’origine orientale. Questo libro non delude la ricerca di dinamiche narrative diverse e arricchisce l’offerta con una serie di curiosità storiche, come la descrizione di strane usanze che servono a placare potenti superstizioni in una Cina che sta accendendo le sue prime lampadine elettriche.
I personaggi che animano le pagine di Yu Hua sono tutti descritti in modo magistrale e in totale assenza di giudizio. Ognuno di loro ha il suo motivo per fare quello che fa e, in quest’ottica, qualcuno sarà anche capace di affezionarsi a chi gli ha mozzato un orecchio. Assurdo? Leggete e capirete.
Il personaggio che mi è piaciuto di più è però quello che ha trovato tutte le sue motivazioni nella giustizia e nell’onore. Lin Xiangfu, disonorato e ingannato, non attinge nessun alibi dal rancore, ma al contrario continua ad essere un uomo giusto quali che siano le conseguenza.
Ricapitoliamo? Un bel romanzo, che segue una narrazione non convenzionale, con interessanti descrizioni storiche e personaggi a cui affezionarsi. Lo consiglio, ma… solo a chi crede che possano esistere belle storie anche senza lieto fine.
Dado