Landau Editore – 247 pagine
Prendi un protagonista tossicodipendente. Fagli incontrare un costruttore di barche eclettico, pedagogo e un po’ filosofo. Ambienta il tutto in un paesino della costa del nord della California, dove la metà degli abitanti ha fatto parte di una setta e da dove si muove uno spacciatore internazionale che scorazza per il pacifico. Può, da tutto questo, nascere un libro noioso?
Sì, Daniel Gubiner l’ha scritto e c’è riuscito nonostante i suoi personaggi abbiano strenuamente resistito perchè così non fosse.
Berg è un ventottenne irrisolto in fuga dalla città. Un trauma cranico l’ha fatto diventare un tossico che divora analgesici e psicofarmaci. Per procurarseli è disposto anche a violare domicilii altrui e rubare negli armadietti dei medicinali. Ruba anche a casa di Alejandro, il costruttore di barche che poi diventerà suo mentore.
E poi basta. Questo è ciò che c’è di interessante nella trama. Alejiandro cercherà di insegnargli a vivere il momento, mentre Berg entra ed esce dalla sua tossicodipendenza senza soluzione di continuità. In mezzo, descrizione di fatti e personaggi che sembra il bugiardino di un medicinale.
Non c’è ritmo, non c’è emozione, non c’è evoluzione, figurarsi poi se c’è un finale. Impossibile appassionarsi a nessuno dei personaggi. Nemmeno ad Alejiandro, che potenzialmente è un fenomenale maestro di vita, ma poi non rivela alcuna verità fatale, neanche offrendosi come esempio.
Questo libro non mi ha lasciato nulla, a parte una mandibola lussata a suon di sbadigli.
Non lo consiglio.
Dado.