Cosa fa di un libro un buon romanzo? Esistono indubbiamente due dimensioni. Una editoriale, che comprende tutti gli aspetti concernenti il prodotto “libro” e una dimensione personale che riguarda il gusto e l’aspettativa di chi legge. Ci sono romanzi di enorme successo che non userei nemmeno per un tavolo zoppo, come ci sono opere poco considerate che sono delle perle rare, poi, ovvio, ci sono autori bravi di grande successo.
Non sono queste però le categorie di cui vorrei parlare. Esiste un’altra fattispecie di autore ed è quello bravo, magari geniale, che però non riesco a leggere. Può sembrare un controsenso, ma non lo è se si prendono in considerazione temi particolari come, ad esempio, una psiche disturbata. Alcuni autori sono così evocativi che leggerli significa farsi trasportare in dimensioni che non sempre siamo in grado si controllare.
Metto in campo un esempio pratico. Proprio in questi giorni mi è capitato di acquistare “Gelo” di Thomas Bernhard. E’ un libro del ’63 divenuto quasi introvabile, che quest’anno Adelphi ha ripubblicato. Bernhard è stato uno scrittore, drammaturgo, poeta e giornalista austriaco, ritenuto tra i massimi autori della letteratura del Novecento e “Gelo” è il romanzo che l’ha fatto conoscere, il primo.
Non avevo mai letto nulla di suo e così ho deciso di colmare questa lacuna. Non ci sono riuscito. L’ho abbandonato dopo 50 pagine. Mi piange il cuore quando succede, ma succede.
Vi racconto la trama fino a dove l’ho percorsa.
Un chirurgo affida ad un suo studente il compito di osservare il suo vecchio fratello. E’ un pittore pazzo che ha bruciato tutti i suoi quadri e poi si è ritirato in un paesino desolato e freddo. Lo studente, già intristito dalla desolazione del luogo e dalla bruttezza dei suoi abitanti, entra in contatto con il pittore e questi gli riversa addosso fiumi di monologhi colmi di pessimismo cosmico. Lo studente riporta fedelmente tutto quello che sente in una specie di resoconto giornaliero.
Non sono andato oltre, ma, da quello che ho letto, non pare che ci siano colpi di scena se non un prevedibile epilogo. Il mio problema con quest’opera, tuttavia, non è stata la mancanza d’azione, quanto la bravura dell’autore nel farmi precipitare alla sindrome depressiva del suo personaggio. Dopo solo 50 pagine mi sentivo triste e pessimista anch’io e ridotto a sperare che lo studente scappasse da quel tormento.
Chiaro? Il problema non era certo dell’autore, Bernhard è stato fin troppo bravo a comunicare ciò che intendeva e l’ha fatto con ogni cosa. I paesaggi, le persone, il freddo, i discorsi. Però io leggo che leggo per tanti motivi, ma non certo per deprimermi, me la sono filata.
Posso dire che questo fosse un brutto libro? No. “Gelo” ha fatto il suo mestiere. Mi ha messo in contatto con il pensiero pessimista di un uomo malato alla fine della seconda guerra mondiale ed ha rivelato piuttosto velocemente un mio limite: non posso osservare i meccanismi della depressione senza sentirmi contagiato e infastidito.
In ogni caso il libro non l’ho buttato, né nascosto. Lo tengo in evidenza, a futuro monito: “Ci sono cose più spaventose dei romanzi Young Adult.”
Dado