Fazi Editore – 823 pagine (più ringraziamenti)
Se non vuoi smettere di guardare l’orizzonte, ascolta l’audio recensione:
Ti capita mai di sentirti più ricco, più completo, dopo aver raggiunto l’ultima pagina di un romanzo? A me è successo con questo libro di Namwali Serpel, scrittrice Zambiana che insegna all’università di Harvard. Questo romanzo dalle potenti suggestioni mi ha messo tra le mani e sotto gli occhi un’Africa che non conoscevo e di cui non sospettavo l’esistenza.
Per ignoranza e un po’ per il senso di colpa tipicamente occidentale verso il continente più antico del mondo, quando pensiamo all’Africa, almeno a me è capitato, usiamo stereotipi raccolti dalla cinematografia e dalla propaganda politica. Concetti del secolo scorso.
L’Africa, che noi valutiamo solo tramite il marginale fenomeno dei suoi migranti e dico marginale perchè sono le briciole di una popolazione di un miliardo e 300 milioni di persone e di 54 stati, è un continente traboccante di risorse sia umane che materiali. Un luogo che non conosciamo.
L’autrice, con questo bellissimo libro, racconta lo Zambia dal 1850, da quando Livingston, percorrendo il fiume Zambesi, scoprì le cascate Vittoria e le dedicò alla sua Regina. Proprio lì diede vita ad un avamposto in cui si stabilirono i capostipiti delle generazioni di cui il romanzo segue le discendenze fino al 2020.
La voce narrante è la coscienza collettiva delle zanzare. Sanno tutto quello che è successo perchè ci sono da sempre e da sempre si nutrono del sangue dei protagonisti. Lo so, sembra un espediente strano, ma ha un senso preciso, soprattutto considerando il visionario finale che, ovviamente, non vi posso svelare.
Il cardine tra presente e passato di queste famiglie , una nera, una bianca e una mista, sono tre donne molto particolari. Un’italiana a cui non smettono mai di crescere i capelli in tutto il corpo, un’inglese cieca e un’africana che piange copiosamente e senza sosta per la maggior parte della sua vita.
Tramite queste esistenze surreali (ma poi non così tanto) la Serpel ci racconta di uno Zambia e di un’Africa colonizzata, che diventa rivoluzionaria cercando la sua identità socialista, ma che poi cede al capitalismo e al neo liberismo, affrontando una strana rivoluzione tecnologica che sembra un vantaggio per i poveri, ma alla fine è solo uno strumento di controllo.
I protagonisti di questi passaggi storici sono, come nel resto del mondo, geniali e disgraziati, contemporaneamente visionari e schiavi delle mode. Alto borghesi e poveri che hanno solo le loro lacrime, ma tutti affamati di una personale rivoluzione.
Gli ultimi capitoli del romanzo ci mettono di fronte ad una gioventù Zambiana meticcia e cosmopolita, che parla l’inglese come prima lingua, che vuole studiare in Occidente e fa affari con l’Oriente, mentre sogna di affrancarsi dalla politica infame che da molto non è più quella del colonialismo, ma che ne ha preso le forme autoritarie.
Il finale di questo libro è inaspettato, come non ci si aspetta mai che le idee dei visionari prendano vita autonoma.
Concludendo. “Capelli, lacrime e zanzare” è un romanzo che ti trascina e che non pesa assolutamente come le sue 800 pagine. Mi è piaciuto, tanto, per diversi motivi. Per la prospettiva che mi ha regalato, per la resilienza delle sue protagoniste e perché , pur essendo piantato profondamente nella terra rossa africana, è un po’ magico e un po’ futuristico.
Lo consiglio agli amici e le amiche che amano le storie di più generazioni e a chi ama guardare al di là degli stereotipi.
Dado.